16 DICEMBRE 2007

 

Giornata di zazen al Dojo Zen Sanrin di Fossano

diretta dal Maestro Roland Yuno Rech

 

 

 

Domenica 16 dicembre 2007, kusen delle 8:15

 

Durante zazen riportate costantemente l’attenzione alla postura.

Ben seduti al centro dello zafu, inclinate bene il bacino in avanti in modo che [...]. Lo zafu deve essere riempito sufficientemente in modo che non si debba fare uno sforzo con la schiena. L’inclinazione del bacino in avanti deve essere naturale, così si può distendere il ventre e lasciare che il corpo prema bene sul cuscino.

A partire dalla vita, si allunga la colonna vertebrale e la nuca verso il cielo, come se un filo ci tirasse dalla sommità del capo, e allo stesso tempo si rilasciano bene le tensioni nelle spalle e nella schiena. Si deve trovare un buon equilibrio tra tensione e distensione, in altre parole, trovare il giusto tono del nostro corpo. La postura deve sempre essere comoda, stabile ed equilibrata.

Il viso è ben disteso, in particolare le mascelle. La lingua è contro il palato e se vi concentrate sul contatto della lingua contro il palato, ciò vi aiuterà a smettere il discorso interiore, a fermare ogni discussione della mente per essere semplicemente presenti a “ciò che è”, istante dopo istante, senza alcun giudizio, senza pensare “questo è bene”, “questo è male”, “questo pensiero è interessante, voglio conservarlo”, “un cattivo pensiero, voglio rifiutarlo”.

Lo sguardo è posato per terra davanti a sé e non si chiudono gli occhi poiché, se non ci attacchiamo agli oggetti della vista, questi oggetti non disturbano la concentrazione di zazen. Non abbiamo bisogno di eliminare i pensieri o di ricercare il “vuoto” nello spirito, ma di percepire intuitivamente che tutti i fenomeni che sorgono, che appaiono, sono vacuità, cioè che sono impermanenti e senza alcuna sostanza fissa, come nuvole che passano nel cielo. E anche se volessimo intrattenerli, non è possibile. Allora è meglio lasciarli passare e armonizzarsi naturalmente e inconsciamente con il Dharma, con l’ordine cosmico, con la realtà così com’è, inafferrabile.

La mano sinistra è nella destra, i pollici orizzontali, il taglio delle mani in contatto con il basso ventre. In questa posizione le mani non fabbricano nulla, non afferrano nulla. Ciò influenza lo spirito che in zazen smette di fabbricare o afferrare alcunché. Le mani sono largamente aperte, formano un largo ovale. Quando ci si concentra sulle mani, in particolare sul contatto dei pollici, ciò aiuta a pensare con tutto il corpo intero, non solo con il cervello frontale, aiuta a ritrovare l’unità di corpo e spirito, aiuta a non creare più separazioni, a ritrovare uno spirito vasto che include tutte le cose, tutti i poli delle nostre dualità, senza scegliere né eliminare alcunché, senza scegliere di pensare o di non pensare, ma al di là dei due, hishiryo, lasciare i pensieri, le sensazioni, le emozioni apparire e sparire naturalmente, inconsciamente. Allora lo spirito non è più disturbato da nulla e può ritrovare un’autentica pace interiore, lo spirito sereno del nirvana. Questo è il senso del Risveglio di Shakyamuni Buddha, il cuore dell’esperienza di zazen trasmessa fino a noi.

Allora, durante questa giornata, ritornate il più spesso possibile alla concentrazione sulla postura del corpo e sulla respirazione. Non trattenete i vostri pensieri e non odiateli neppure. Ritornate costantemente all’esperienza di essere pienamente nella vostra postura, seduti in zazen, in piedi camminando in kin-hin, gassho, sanpai, cantare, mangiare la guen-maï, tutte occasioni di ritornare all’unità della vita, qui e ora. Ciò può continuare in eterno, in tutti gli istanti della vita quotidiana.

 

 

 

Domenica 16 dicembre 2007, kusen delle 11:15

 

Durante zazen, piuttosto che seguire i vostri pensieri, concentratevi sulla respirazione: quando espirate, espirate totalmente, fino al fondo, senza trattenere nulla; quando inspirate, inspirate profondamente. Inspirate ed espirate con il corpo intero, non soltanto con i polmoni, ma anche con il ventre, con la schiena.

Quando si è totalmente concentrati sulla respirazione, si diventa totalmente un corpo e uno spirito che sta inspirando ed espirando, senza ego. Si può dimenticare completamente se stessi nella respirazione. L’inspirazione non diventa mai espirazione: l’inspirazione è solo inspirazione. E allo sesso modo l’espirazione non diventa inspirazione: è solamente espirazione. Ugualmente, un pensiero che appare non diventa non-pensiero: un pensiero è solamente un pensiero e l’assenza di pensiero soltanto l’assenza di pensiero. Allo stesso modo l’autunno non diventa l’inverno: l’autunno ha le sue caratteristiche, l’inverno è un’altra stagione. La vita non diventa la morte: la vita è completamente la vita, la morte è un’altra realtà.

La pratica dello Zen consiste nell’imparare a essere completamente concentrati in ogni istante, che non diventa mai l’istante successivo. Praticare in questo modo è sperimentare la vita “assoluta” di ogni istante, senza aspettare l’istante successivo, senza rimuginare l’istante precedente. Essere semplicemente “uno” con l’istante presente, essere senza aspettative e senza rimpianti. Vuol dire anche essere senza paura, vedere che l’istante presente è completo, che è tutto lì, che non manca nulla. Non c’è bisogno di essere tesi verso altre cose o altrove. Al di fuori dell’esperienza di questo istante, sono soltanto costruzioni mentali, immaginazione. In zazen lasciamo cadere tutto ciò, realizziamo la vita al di là della vita e della morte. Non c’è bisogno di sperare o di aspettare il nirvana dopo la morte. Abbandonare qui e ora ogni attesa e ogni rimpianto è già il nirvana, la pacificazione totale, vivere qui o ora come il Buddha, condividere il suo Risveglio.

Certamente questa pratica può proseguire in ogni istante della vita quotidiana, nell’impegnarsi totalmente in ogni azione, facendo le cose per se stesse, non per ottenere altre cose. Allora ogni azione diventa completa, sufficiente a se stessa e non ci lascia alcun rimpianto. E ciò che chiamiamo “vita e morte”, cioè il samsara, non è opposto al nirvana: il nirvana non viene “dopo”. Se penetriamo qui e ora l’essenza della vita e della morte, allora ogni istante di questa vita è nirvana. Realizzare questo è il senso stesso della nostra pratica, valido sia per un principiante che per un praticante molto anziano. E’ la pratica eterna.

 

 

 

Domenica 16 dicembre 2007, mondo delle 14:00

 

- Ho dei problemi con il concetto di coerenza e di affidabilità. Mi viene sovente rimproverato di essere poco coerente, poco affidabile.

 

- Cosa intendi per “inaffidabile” nel tuo caso?

 

- Non riesco assolutamente a seguire una scelta o un’idea nel momento in cui sento qualcosa di diverso. Questo però mi crea un bel po’ di problemi con le persone, perchè mi dicono “mi avevi detto quella cosa là e adesso...”. Allora mi chiedevo oggi, alla luce del Dharma, che valore dare alla costanza, alla coerenza o invece alla disponibilità a cambiare momento per momento.

 

- Penso che bisogna avere coerenza per le grandi scelte della vita.

Per esempio, se qualcuno decide di diventare monaco e dopo qualche settimana o qualche mese decide di interrompere la pratica, questo non va bene. Bisogna sapere prima ciò che si vuole seguire, se vuoi essere coerente con il Dharma oppure con il tuo ego. Il punto importante è quale direzione vuoi seguire. Se vuoi sempre essere in armonia con il tuo ego, allora non sarai mai “affidabile”, perchè l’ego è sempre dipendente dalle circostanze, dai suoi desideri, dalle sue avversioni. Se al contrario sei diretto dal Dharma, allora sei diretto da quell’aspetto della tua vita che è al di là delle preferenze e delle avversioni.

Indipendentemente dal fatto di essere monaco seguendo la Via dello Zen Soto, è evidente che nel percorso della pratica ci sono dei momenti difficili. Semplicemente a volte capita, per esempio, alla sera di non avere voglia di andare al dojo. Questo è un esempio semplice, ma importante. Cosa seguiamo in quel momento? Andiamo al dojo solo quando ne abbiamo voglia, cioè seguiamo il nostro ego, o andiamo al dojo qualsiasi cosa capiti? Penso che la vera pratica sia andare al dojo qualsiasi cosa accada, cioè non essere coerenti con i propri desideri, ma essere coerenti con la parte più profonda, che è il seguire il proprio impegno in qualsiasi circostanza. A volte il Maestro Deshimaru andava a letto molto tardi o era molto affaticato. Si faceva un po’ di festa insieme la sera e dicevamo “sicuramente non verrà domattina al dojo e resterà addormentato”... Invece il mattino dopo era il primo al dojo. E criticava tutti quelli che non erano venuti...

[ Risate ]

Questo è un piccolo esempio. Un altro esempio più familiare è la fedeltà nel rapporto di coppia: se tu segui i tuoi desideri, un giorno hai voglia di stare con una donna e sei coerente con questo desiderio, poi la settimana successiva “ciao, vado a trovarne un’altra”... Anche questa è causa di grande sofferenza. Non voglio dire che non bisogna mai cambiare partner e neanche che non bisogna mai cambiare il proprio orientamento spirituale. Ad un certo punto può succedere di voler cambiare direzione, ma sulle grandi decisioni è importante essere costanti: approfondire la relazione con un partner o con il Dharma si può fare indipendentemente dalle circostanze. Anzi, soprattutto nelle circostanze difficili, è lì che si vede il vero amore. Se nelle difficoltà si dice “Via! Basta!”, non è vero amore. Se fai zazen solo quando ne hai voglia, non è lo Spirito della Via. Nel vero amore e nel vero impegno c’è qualcosa che è al di là di noi. Con questo devi essere coerente.

 

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- Vorrei chiederle che cosa significa essere Bodhisattva dal punto pratico.

 

- Prima di parlare della pratica bisogna comprendere lo spirito del Bodhisattva, perchè la pratica risulta dallo spirito.

Lo spirito del Bodhisattva nello Zen si chiama bodaishin, cioè “spirito del risveglio”. E’ lo spirito che abbiamo quando realizziamo che bisogna praticare con gli altri e per gli altri, non solo per se stessi, quando realizziamo che è la cosa più importante della nostra vita. Quindi non ci riferiamo solo al fatto che la Via è importante, ma che l’essenza della nostra vita è di non essere separati dagli altri, e che l’autentica natura di Buddha è essere costantemente legati agli altri, interdipendenti.

Allora - tanto per riprendere la domanda precedente - se vogliamo essere coerenti con questa realizzazione, facciamo il Voto del Bodhisattva. Il primo voto del Bodhisattva è “Per quanto numerosi siano gli esseri, faccio voto di aiutarli a risvegliarsi”. In pratica ciò vuol dire avere una pratica regolare nel dojo e aiutare gli altri a risvegliarsi. E, nella vita quotidiana, essere disponibili ad aiutare gli altri, essere animati da uno spirito di compassione, essere capaci di mettersi al posto degli altri, sentire le loro difficoltà e cercare sempre il metodo migliore per aiutarli. Questa è l’attività del Bodhisattva: non aiutarli a soddisfare i loro desideri, ma aiutarli a liberarsi veramente dalla sofferenza, a risvegliarsi.

Concretamente, per aiutare a realizzare questo, si pratica una cerimonia particolare, l’ordinazione a Bodhisattva, perchè per realizzare questo abbiamo bisogno di rinforzare la nostra fede nei Tre Tesori, il Buddha, il Dharma (cioè il suo insegnamento) e il Shanga (cioè la comunità). Con il Buddha si crea una relazione tramite il maestro che dà l’ordinazione e che trasmette il ketsumiaku, su cui sono scritti i principali Maestri della trasmissione dal Buddha fino a noi, e il rakusu, che è il simbolo dell’autentica dimensione spirituale di zazen e che fa la differenza tra uno zazen praticato con spirito di rilassamento e uno zazen praticato con spirito religioso.

Un altro aspetto essenziale è ricevere i Precetti. Innanzi tutto ci pentiamo dei nostri errori passati e facciamo voto di rimediare seguendo i Precetti. I Precetti sono dieci: non uccidere, non rubare, non mentire, non avere una cattiva sessualità (che vuol dire non usare gli altri come uno strumento; a volte dico “non avere una sessualità senza amore”), poi non intossicarsi (non prendere delle droghe), non essere orgogliosi, non criticare o sminuire gli altri (non criticare è molto importante, soprattutto nel Shanga: non bisogna mai criticare gli altri se non faccia a faccia e per aiutarli; non si deve mai parlare degli errori degli altri alle spalle), poi non essere avari (al contrario praticare il dono, il fuse, la generosità), non essere collerico, ed infine non calunniare i Tre Tesori. Questi sono i Dieci Precetti che ci impegniamo a rispettare.

E questo è concretamente l’ordinazione del Bodhisattva.

Nel Buddhismo Tibetano vi è un’ordinazione che è la Presa di Rifugio nei Tre Tesori, mentre ricevere i Precetti e fare il Voto di Bodhisattva è una cerimonia diversa. Ma nello Zen è un’unica ordinazione. E’ una cerimonia più importante, che crea un legame con la linea di trasmissione. Questo legame ci sostiene nei momenti difficili della vita per continuare a praticare la Via nel modo giusto.

 

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- Io non ho una domanda da farti, ma colgo l’occasione di essere qui insieme a buona parte del Shanga italiano per dire che, dopo un anno che sono stata fuori ed ho praticato in un altro piccolo Shanga, sono rientrata al Dojo di Torino e ho ripreso a seguire te come mio maestro.

Volevo anche dire che essere stata fuori un anno mi ha aiutata molto a vedere meglio i fenomeni come vacuità, soprattutto riguardo alla nostra pratica, come noi siamo nella nostra pratica. Mi ha aiutata ad essere attenta alle cose che faccio e come vivo la pratica, come mi relaziono all’interno del Shanga.

Voglio dire anche che, parlandoti a Ghigo, mi sono resa conto di non essere mai andata via, di avere comunque sempre seguito il tuo insegnamento. Anche se seguivo un maestro diverso, l’insegnamento era lo stesso: due modi diversi. E quello che mi è rimasto più di questo insegnamento è che entrare ed uscire dalla forma ed essere in grado di entrare ed uscire da situazioni che sono con la forma o senza forma è proprio uguale.

Voglio dire: il Maestro Daido Strumia pratica senza nessuna forma, noi pratichiamo con una forma, ma poter restare in una pratica con una forma o senza forma riguarda sempre comunque gli attaccamenti. Se noi riusciamo ad entrare ed uscire da queste situazioni vuol dire che possiamo praticare... parlo per me... che posso praticare senza questi attaccamenti o comunque guardando cosa sono questi attaccamenti.

 

- Ma alla fine dobbiamo decidere in quale maniera vogliamo praticare. Non è che perchè si decide di seguire un certo modo bisogna rimanere attaccati a questo modo.

A volte le persone dicono “se pratico zazen, tutto il giorno vuol dire che sono attaccato a zazen”. Non è vero. E’ importante con quale spirito si pratica. Se si pratica con spirito di avidità, di ottenimento, se non si è mushotoku, tutto diventa attaccamento. Se si pratica con spirito mushotoku, senza aspettarsi nulla, allora possiamo praticare con una forma oppure con un altra forma o con nessuna forma. Tutto è bene allora.

Il problema è però che non possiamo praticare tutto contemporaneamente: bisogna decidere. Ed è bene, una volta che si è deciso, di non dubitare più. Il dubbio continuo può diventare un ostacolo per la pratica una volta che si è scelto. Come dicevo prima è importante essere fedeli all’impegno preso, anche se si trovano delle difficoltà, perchè è proprio nelle difficoltà che si può approfondire la pratica, lasciare la presa. Se, quando troviamo delle difficoltà, mettiamo in dubbio il Shanga, il Maestro e ce ne andiamo, perdiamo l’occasione di rimettere in discussione noi stessi, ed è un peccato. E’ bene allora che tu abbia compreso questo.

 

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- La mia domanda è un po’ confusa. Cercherò di spiegarla a me prima di spiegarla a lei. Riguarda mio figlio che ha quindici anni e che in questo momento è andato a stare con il papà perchè con me ha avuto un grosso conflitto. Si è arrabbiato al punto di aggredirmi fisicamente. E’ dal papà da quindici giorni. La mia domanda è: ha un senso vivere nell’attesa che questo ragazzo maturi dentro di sé una consapevolezza rispetto al gesto che ha fatto?

 

- Certo, è normale sperare che comprenda.

 

- Esercitare la mia compassione di adulto, di genitore, di persona che accompagna questo ragazzo in questo momento, che cosa vuol dire? Essere fermi e rigidi nella mia posizione di genitore, cioè, finché lui non capisce quello che ha fatto e ne parliamo e decide che questa cosa non deve più accadere, resta dal papà, oppure devo in qualche maniera perdonare e sperare benevolmente che non accada più questa cosa?

 

- Penso che bisogna dargli i mezzi per comprendere il suo errore e, se se n’è andato, vuol dire che non sei riuscita a farglielo comprendere. E’ importante che tu non resti nella tua posizione di genitore, ma che tu diventi lui, che tu diventi tuo figlio, cercare di metterti al suo posto per cercare di capire perchè non ha compreso la tua posizione. E’ importante sia essere nella propria posizione di educatore, ma anche mettersi nella posizione dell’altro, se no si rischia di usare dei mezzi molto maldestri che complicano invece di aiutare. Se si arriva alla separazione, allora non si può più fare nulla.

Io spero che tu possa collaborare con il padre e che il padre possa anche lui aiutare il figlio a comprendere, e che non si mettano tutti e due insieme contro di te dicendo “è lei che sbaglia, è una cattiva madre”. Sarebbe un peccato questo. Bisogna cercare di ricreare dei legami con tuo figlio, con suo padre, per offrirgli i mezzi per comprendere e non rimanere bloccato, e anche per te, per non rimanere bloccata nella tua posizione. Cercare veramente di mettersi al suo posto. Quindi, che ciascuno faccia un passo nella direzione dell’altro. Ma bisogna permettere a lui di fare questo passo. Certamente tu hai molti più strumenti di lui per comprendere la situazione.

Questo è esattamente il tema del Bodhisattva: come aiutare tutti gli esseri? Sovente si paragona il ruolo del Bodhisattva a quello di un genitore e in particolare a quello di una madre, che aiuta.

Certamente la compassione è importante, ma anche la saggezza, cioè essere capaci di trovare i mezzi per aiutare l’altro. Perciò la compassione non è soltanto avere pietà dell’altro, ma sapersi mettere al suo posto. Saggezza e compassione non possono mai essere separate, si completano a vicenda. Altrimenti la saggezza può diventare molto rigida: “Io so bene cosa è meglio per te”... Quindi avere sì la visione chiara, ma sapere anche mettersi al posto dell’altro per vedere che cosa è meglio per lui e offrirgli gli strumenti per evolversi.

 

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- Ho una domanda che è un po’ che mi assilla, ma non penso di essere l’unico: perchè esiste l’universo?

[risate]

 

- Le rose non si pongono questa domanda, devi diventare come una rosa.

[risate]

 

- Ora avrò due domande che mi assillano.

[risate]

 

 

 

Domenica 16 dicembre 2007, kusen delle 16:00

 

Presto questa giornata di zazen sarà finita. E’ passata molto rapidamente. Durante questi quattro zazen siamo potuti tornare alla calma e alla tranquillità dello spirito, dimenticando per un poco le nostre preoccupazioni della vita quotidiana. Presto ritroveremo queste preoccupazioni e alcuni certamente rimpiangeranno questo momento. Così però si crea una separazione tra la vita quotidiana e lo spirito durante la sesshin. Ed è proprio questo spirito discriminante che crea della sofferenza nella vita quotidiana. Se voi, invece, guardate la vostra vita quotidiana come l’occasione di praticare la Via, né differente, né separata da zazen, allora potrete davvero approfondire la vostra pratica della Via.

Ciò che fa della vita quotidiana e di tutta l’esistenza in questo mondo di fenomeni (che nel Buddhismo chiamiamo samsara) un luogo di sofferenza è proprio il fatto che siamo governati dal nostro ego, cioè da quella funzione della nostra mente che discrimina senza interruzione, che giudica “questo è bene”, questo è male, che si attacca a ciò che è buono, che ha paura o che rifiuta ciò che è malvagio, che costantemente oscilla tra il rimpianto del passato e la speranza del futuro.

Questo accade quando siamo dominati dallo spirito dell’ego. Ma l’ego non esiste di per se stesso: è soltanto un modo di funzionare della nostra mente, diretto dall’avidità e dall’avversione, che passa il suo tempo a scegliere e a rifiutare. In relazione a ciò il Maestro Sosan diceva: “Se si vede ciò chiaramente, penetrare la Via non è difficile”. Dobbiamo semplicemente abbandonare questo spirito di selezione e di scelta, o comunque non seguirlo. Nello Shobogenzo Shoji il Maestro Dogen diceva “Raggiungerete lo spirito di Buddha quando non rifiuterete la vita e la morte e quando non desidererete il nirvana”. E potremmo dire la stessa cosa per quanto riguarda la vita quotidiana: otterremo il nirvana quando non odieremo più la vita quotidiana e non desidereremo più il satori di zazen.

Tuttavia, anche se comprendiamo ciò chiaramente, è difficile realizzarlo: l’ego non può abbandonare se stesso. Bisogna mettere tutta la propria energia nella pratica di gyoji con il Shanga, abbandonare completamente le resistenze del nostro corpo e della nostra mente e lasciarci dirigere da zazen, anche quando ci sembra difficile, perchè quando ci abbandoniamo a zazen ed è zazen che ci dirige allora è come se fosse il Buddha che ci prende per mano e ci guida, non abbiamo più bisogno di fare tanti sforzi con la volontà. Allora, come diceva il Maestro Dogen, veniamo liberati dalla vita e dalla morte del samsara e diveniamo simili a Buddha, senza più nessun ostacolo nello spirito.

Per realizzare questo bisogna avere fiducia in zazen, impegnandoci senza riserve, abbandonandoci alla pratica, lasciando che essa trasformi la nostra vita e soprattutto che trasformi il nostro modo di pensare, abbandonando lo spirito di discriminazione di scelta e di rifiuto. E’ il cuore della nostra pratica. E ogni fenomeno della vita quotidiana ci offre l’occasione per praticarlo. Anche le situazioni difficili e spiacevoli, anche le persone che ci criticano, ad esempio, sono tutte occasioni per lasciare la presa. Se siamo animati dal Spirito del Risveglio, autenticamente, allora ogni giorno è un buon giorno e ogni luogo un buon luogo per praticare la Via. E’ ciò che auguro ad ognuno di noi di realizzare nella pratica.

 

 

 

Traduzione: Franca Mondino

Annotazione 8:15 e 11:15: Chiara Pandolfi

Annotazione 14:00 e 17:00: Andrea Ghisleri

Raccolta e trascrizione: Andrea Ghisleri

Revisione: Lucio Yushin Morra